Pachino e la storia del pomodoro Re
Gli inglesi lo chiamano storytelling, noi più semplicemente narrazione. Da tempo è divenuto uno strumento di utilizzo corrente per chi si occupa di promozione. Raccontare le storie che precedono eventi importanti, le relazioni tra le persone così come le tradizioni dei territori o anche solo piccoli segreti di prodotti caratteristici aumenta il coinvolgimento di chi ascolta aggiungendo elementi immateriali che contribuiscono ad aumentare significato e valore di ciò che si sta vivendo. Di esempi in questo senso ce ne sono infiniti e ne vengono realizzati costantemente.
Parto da qui perché il parallelismo ispirante di questa settimana mi viene nei giorni della vittoria dell’europeo di calcio della nazionale italiana. A Wembley, contro gli inglesi. Un mese di giugno di partite intense preceduto prima dell’inizio del torneo dalla messa in onda, dal 7 al 10 giugno, di “Sogno Azzurro”, mini serie della Rai in quattro puntate ciascuna da poco più di un’ora che racconta il percorso di avvicinamento della nazionale alla fase finale a 24 squadre. Una cosa mai fatta. Mai le telecamere avevano pescato immagini nella parte viva di uno spogliatoio di calcio, mai avevano documentato preparazioni e attese, mai così vicine in campo negli allenamenti e mai si era investito tempo per far raccontare ai protagonisti stessi le sensazioni vissute nei singoli appuntamenti con la scusa di ricordarli. Certo, era necessario il rifiorire, come lo chiama buona parte dei commentatori, dell’attaccamento degli italiani alla nazionale dopo la delusione della mancata qualificazione al mondiale 2018. Un prodotto televisivo per far entrare la nazionale di calcio nelle case prima che entrasse in campo. Una sorta di programma supporter, così come avviene tra band durante i concerti, per preparare il pubblico all’evento. “Sogno Azzurro” è soprattutto un racconto di persone, sensazioni e storie che contribuiscono a rendere uniche e difficilmente dimenticabili le sensazioni che poi a seguire si vivono.
Ho la stessa sensazione mentre parlo con Sebastiano Fortunato, Presidente del Consorzio di Tutela IGP Pomodoro Pachino: le nostre strade si sono incrociate grazie a Spettacoli alla Frutta. Quella sensazione che nasce dal susseguirsi delle parole che piano si srotolano e che cresce nell’ascolto di apparenti banalità sconosciute, il cui racconto aggiunge suggestione ai contorni. Nelle parole di Sebastiano c’è tanto territorio, orgoglio, provenienza, storia e tradizioni. Siamo in quell’angolo di Sicilia, nel suo vertice basso, il più a sud dell’isola, come recita l’epigrafe posta sul basamento della statua del Cristo Redentore posta a Capo Passero, punto di incrocio tra Mar Ionio e Mar Mediterraneo, di fronte al quale, di nome e di fatto, sgocciola l’ettaro di terra dell’Isola delle Correnti. Territorio impunturato di mitologia e racconti omerici. Mi ritrovo quindi a scorrere l’Odissea e a seguir col dito, come un tempo si faceva negli atlanti, il tratto di costa dalla foce l’Eloro, poco più a sud di Lido di Noto, giù verso sud, per passare poi il Capo e risalire a quello che è chiamato appunto Porto d’Ulisse. L’occasione è giusta per imparare il significato di cenotafio, che non è altro se non un monumento funerario che, secondo la mitologia, Ulisse eresse a Ecuba – seconda moglie di Priamo – per compensare la colpa di averla lapidata per primo. La digressione mi convince che il grado di interesse con cui si ragiona consenta di aprire spazi di memoria più ampi e profondi, quelli nei quali si conservano i ricordi che se ne andranno per ultimi, rimanendo quasi sempre a galla, pronti per essere portati a bordo di nuovo e raccontati. Esco dai pensieri omerici e inizia il dialogo.
Sebastiano, una vita per il pomodoro o prima altro? E da allora quale evoluzione?
Una vita, decisamente. Una vita iniziata a 13 anni nell’azienda di famiglia dopo che mio nonno prima e mio padre poi erano partiti come rivenditori al mercato di Pachino. Il mercato me lo ricordo come pieno di gente, movimentato, pieno voglia di fare e la sensazione che il prodotto che si produceva già allora fosse molto apprezzato. Allora il prodotto veniva venduto alla rinfusa in casse di legno da 20 kg e vendevamo prevalentemente in Puglia, dato che i compratori venivano da lì. La campagna di commercializzazione iniziava a dicembre e finiva a maggio tra prodotto in serra e in campo. Nel tempo le aziende agricole sono cresciute di dimensione, così come si sono evolute pure le confezioni. Oggi il prodotto si vende in confezioni da 300 g, 500 g, 1 kg e 3 kg, con il confezionato che quindi cresce e per il quale si utilizza sempre meno plastica e sempre più cartone e cartoncino. Già oggi gli imballaggi a base carta valgono il 30% dei volumi, ma la tendenza è destinata a crescere.
Come si è affermata la qualità del pomodoro Pachino?
La produzione di pomodoro a Pachino si afferma con il costoluto, prodotto da dicembre a maggio. Successivamente, anche per ampliare il calendario di produzione, si è cominciato a produrre il ciliegino, che di fatto ha dato una spinta propulsiva molto importante. Oggi grazie al ciliegino, al datterino, al plum e al mini plum riusciamo ad essere presenti sul mercato 12 mesi all’anno. Grazie alla produzione continuativa abbiamo potuto iniziare a presidiare il mercato nel tempo, a far conoscere la qualità del prodotto e a fidelizzare i clienti.
ll Consorzio di Tutela IGP Pomodoro Pachino in tre righe?
Abbiamo raggiunto il riconoscimento nel 2002. Oggi siamo 121 produttori e 28 confezionatori tra i comuni di – rigorosamente in base al volume di produzione – Pachino, Portopalo, Ispica e Noto. Quasi 32 mila tonnellate di prodotto IGP dichiarato in questo areale di cui confezionato IGP circa 9 mila tonnellate. La parte prevalente la fa il ciliegino con il 64,6% dei volumi, segue il costoluto ormai all’11,5% e a seguire le altre varietà. Io sono stato tra i soci fondatori, all’epoca eravamo in sette. Sono diventato Presidente nel 2006 e sono rimasto in carica fino al 2018. Poi nelle cariche è giusto alternare persone diverse per favorire il contributo di nuove energie e visioni. Per lo stesso motivo sono nuovamente Presidente dal marzo di quest’anno
Secondo i dati statistici disponibili in Italia si producono 1,5 milioni di tons di pomodoro per il consumo fresco mentre se ne esportano solo 60.000. Come si compete in questo mercato?
La nostra produzione è quantitativamente infinitesimale rispetto alla produzione italiana. Per questo la nostra logica di approccio non può fondarsi sul tonnellaggio, bensì sulla differenziazione e la difesa della provenienza. E, se ben costruite, si possono fare anche produzioni a tiratura limitata a patto di saperle comunicare al meglio. Alcune varietà di costoluto per esempio producono un frutto, chiamato Re, che diventa egemone sugli altri frutti della stessa pianta, utilizza per sé tutto il nutrimento della pianta e si appropria di tutta la linfa facendo “abortire” gli altri frutti. Per questo viene tolto in campagna durante la coltivazione. Differentemente la pianta produrrebbe solo quello e di calibro medio. Ma dal punto di vista gustativo non ci sono eguali. Ora in alcuni casi non lo togliamo più, lo raccogliamo e lo commercializziamo. Di fatto un prodotto ad edizione limitata per natura che diventa il tartufo della situazione. In tutto questo il Consorzio e il marchio hanno un ruolo fondamentale anche perché Pachino, storicamente senza troppa comunicazione, è diventato sinonimo di pomodoro di qualità. Siamo di fronte a un caso molto raro dove il prodotto ha creato il marchio, come forse solo nel caso dell’Aspirina tanto che nel tempo si è iniziato ad usare il nome di Pachino anche per produzioni non di questo territorio e la creazione del Consorzio è diventata una necessità prima di tutto e oggi è una opportunità per valorizzare le nostre produzioni
C’era una pubblicità che spopolava negli anni Ottanta. Un uomo bendato sorseggiava un bicchiere di whisky. Fuori campo una voce femminile si interrogava se il protagonista fosse stato in grado di riconoscere ciò che beveva bendato, e questo, dopo averlo assaggiato, togliendosi la benda non aveva dubbi. “Questo è Glen Grant, colore chiaro, gusto pulito”. È una prova che si potrebbe fare anche con il pomodoro di Pachino?
Il gusto, come tutte le cose va educato, codificato e identificato per consentire di riconoscere il prodotto. Senza cultura non c’è conoscenza e quindi elementi di valutazione. Io lo riconosco perché conosco il risultato del risultato del mix di terra, acqua e tradizioni. Il pomodoro di Pachino è inconfondibile, è asciutto, concentrato con un gusto quadrato che non si disperde. Ha una quantità di acqua inferiore alla media dei pomodori oltre al fatto che ha un contenuto equilibrato di sale. Di fatto sembra già condito. È il risultato dell’acqua salmastra di questa terra, a ridosso di coste nelle quali si incontrano due mari, che stressa la pianta e che crea un sapore particolare nei frutti.
Quindi per il Pachino i principali punti di forza sono di natura organolettica?
Certamente sì e lo sono per natura. Ma l’obiettivo è migliorare sempre. Il disciplinare prevede un grado brix minimo di 4,5 ma l’ambizione è migliorarlo nel tempo anche perché ci sono produzioni che arrivano già a 8 e 9 con punte anche di 11 ed è giusto valorizzarle.
Quali si aspetta debbano essere le linee strategiche per il futuro?
La sostenibilità prima di tutto. Modo di vivere prima che dogma. Per questo stiamo lavorando con il prof. Leonardi dell’Università di Catania per certificarci quanto prima nichel free, così come sulla carbon neutrality. Il territorio in tutto questo ci fa un gran regalo. La Sicilia è di fatto una serra artificiale, costante, 365 giorni all’anno. Per questo produciamo pomodori in serre “fredde” che non riscaldiamo, non illuminiamo e non raffreddiamo che utilizziamo solo per mantenere e uniformare anche nel tempo il microclima. Ne consegue l’assenza di impiego di risorse energetiche e dispersioni nell’ambiente con maggiore sostenibilità ambientale per kg di prodotto.
Il post Covid ci lascerà una nuova normalità su canali di vendita e consumi. Per il Consorzio cosa cambia?
Il peso della GDO è costantemente cresciuto, oggi sfiora l’80%, mentre il restante viene venduto attraverso i mercati ortofrutticoli. È il risultato dell’incontro di due esigenze. Per nostra parte di veicolare con maggiore facilità le nostre produzioni per far conoscere prodotto e marchio e dall’altro per la GDO di qualificare la propria offerta. Siamo consapevoli che il contesto sta cambiando e che oggi il destino è sempre più in mano ai produttori, anche per la facilità di comunicare con il consumatore, a patto di avere prodotti eccellenti e distintivi e investire sulla capacità di informare e rendere con facilità disponibile il prodotto. Il Consorzio c’è anche per questo. Occorre poi essere bravi a fare le cose giuste al momento giusto. Per esempio abbiamo testato il canale e-commerce diciassette anni fa. Noi, i trasporti ma anche il consumatore non eravamo pronti. Ora stiamo pensando come riapprocciarci nuovamente al canale.
In tutto questo perché il Consorzio di Pachino è salito a bordo del camper di SAF?
Per due motivazioni sostanziali. Prima di tutto ci ha convinto la formula dell’iniziativa, che da un lato sostiene la ripartenza delle forme d’arte e dall’altro parla di promozione e tutela delle eccellenze ortofrutticole italiane con un progetto capillare che unisce territori di produzione con tutta l’Italia. In secondo luogo la nostra consapevolezza di produrre un pomodoro di grande qualità è la premessa per la nostra ambizione di farlo conoscere sempre di più al consumatore come prodotto che viene coltivato a Pachino e negli altri tre comuni del Consorzio.
Finite. Le domande che avevano costituito lo scheletro che mi ero preparato per il dialogo con Sebastiano sono finite e come un palloncino che perde metri, perché ha quasi esaurito l’elio, mi avvio a ringraziarlo. Ma il palloncino all’improvviso riprende quota per un mulinello di vento, per quelle folate che proprio ai palloncini stanchi ridanno altezza, avete presente? E cosi gli chiedo “Senti Sebastiano ma qual è la tua canzone preferita di Raffaella Carrà?”. Sorpreso ma senza esitazione risponde: “A far l’amore comincia tu!”. Non so perché gliel’ho chiesto ma sapevo che avrebbe avuto la risposta pronta. “Claudio ma tu scrivi?”, mi chiede. “No ma mi piace scrivere”, rispondo, e lo faccio perché credo nel valore di raccontare le storie delle persone, e nel caso dei loro prodotti. Sono il piano poi in cui si costruiscono le relazioni, il modo in cui si può parlare di noi e non solo di sé, per gusto di comunità”.
E a quel punto è lui che ha voglia di raccontare. In un dialogo di qualche giorno prima con un suo amico di infanzia si sindacava la corretta provenienza e impiego del marchio IGP di Pachino. “Dovrei scriverci un libro – mi dice -. E poi arrivi tu”. Proprio bello raccontarsi!
fonte: https://www.bestack.com/